Nico Angiuli
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11/7/2014 0 Comments

   

Ci sono dunque due problemi da distinguere: lo sfruttamento della classe operaia, che si definisce come profitto capitalistico, e l'oppressione della classe operaia sul luogo dilavoro che si traduce in sofferenze prolungate per 48 o 40 ore settimanali, ma che possono prolungarsi anche al di là della fabbrica, sulle 24 ore della giornata. 

II problema del regime delle aziende, considerato dal punto di vista dei lavoratori, si pone con dati che sono relativi alla struttura medesima della grande industria. Una fabbrica è essenzialmente fatta per produrre. Gli uomini sono là per aiutare le macchine a far nascere ogni giorno il più gran numero possibile di prodotti ben fatti e a buon mercato. 

Ma d'altra parte, quegli uomini sono uomini; hanno bisogni, aspirazioni da soddisfare che non coincidono necessariamente con le necessità della produzione e anzi, in realtà, quasi sempre non vi coincidono affatto. È questa una contraddizione che il mutamento di regime non eliminerebbe. Ma noi non possiamo ammettere che la vita degli uomini sia sacrificata alla fabbricazione dei prodotti. Se domani i padroni saranno cacciati, se si collettivizzeranno le fabbriche, ciò non muterà in nulla questo problema fondamentale, per il quale ciò che è necessario per far uscire il più gran numero possibile di prodotti non è necessariamente quello che può soddisfare gli uomini che lavorano nella fabbrica.


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Simone Weil sulla razionalizzazione del lavoro, lettera 1937                       
     Giovanni Astengo, ciclo giornaliero di vita nella città industriale 
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    Tre Titoli

    Un progetto filmico performativo nelle terre di Giuseppe Di Vittorio attraversando l'evoluzione e la trasformazione della classe bracciantile lungo il Novecento:
    dai cafoni ai lavoratori africani, cercando le ragioni che producono oggi nuove vittime e nuovi carnefici. 
    Un progetto possibile grazie al Premio "Arte, Patrimonio, Diritti Umani 2014" di Connecting Cultures.

    Leggi qui il comunicato stampa

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